La verità sul caso Harry Quebert - Recensione


È in programmazione in questi giorni su Sky ma in molti paesi è già stato distribuito da qualche mese, parliamo de La Verità sul Caso Harry Quebert, la serie che nelle intenzioni avrebbe dovuto rilanciare Patrick Dempsey.



La serie è tratta dall’omonimo best seller di Joel Dicker, uscito in Italia nel 2013 e che io lessi su consiglio di un’amica libraia che non sbagliava un colpo. Almeno fino ad allora.
Tutti avrete qualche amica/o che si diletta a scrivere e magari senza essersi mai spostata dal paesello pretende di ambientare le sue storie a New York o, che so, a Hong Kong; bene, è esattamente quello che fa Joel Dicker, giovanissimo svizzero, sempre vissuto nella sua terra natìa. Quello che ne viene fuori è un mattone di 800 pagine, infarcito di luoghi comuni sugli americani provinciali degli anni ’70 e su quelli sboroni della New York dei giorni nostri. La prosa di Dicker ha ben più di qualcosa da invidiare a Rosamunde Pilcher e ipotizzo che con un buon editing le pagine si sarebbero aggirate attorno alle duecento. Già, perché la storia, ambientata su vari piani temporali, non fa che rincorrere sé stessa, aggiungendo via via particolari a scene che sono sempre le stesse. Tuttavia Dicker azzecca abbastanza l’ossatura della trama, difatti colpi di scena ben assestati ce ne sono, alcuni personaggi sono accattivanti – anche se la maggioranza risulta bidimensionale, per non parlare delle donne, veri stereotipi viventi – e l’ambientazione nella piccola cittadina del Maine risulta non priva di fascino. Insomma, un professionista serio gli avrebbe detto di affidarsi a un buon editor e di mettere da parte l’enorme ego che si riversa pagina dopo pagina nella storia. Tuttavia qualche editore meno serio ma più affarista, con un solido battage pubblicitario, è riuscito a farne un dimenticabile caso letterario. 

La serie TV



E, ovviamente, come per ogni buon caso letterario che si rispetti, ecco che arriva la serie tv. Fin da subito il nome di Patrick Dempsey che, mi perdonino le sue fan, non associo certo a prodotti di qualità estrema e i dubbi sulla trama, mi avevano fatto storcere il naso. Però la curiosità del solito confronto libro vs film e la mano di Jean Jacques Annaud alla macchina da presa, mi hanno spinto a tentare la sorte. In lingua originale.
Va detto che io sono quanto di più distante dai fanatici della lingua originale, quelli che solo a sentire la parola doppiaggio reagiscono come Bernardo Gui di fronte ai dolciniani. Quelli che partono in quarta su quanto noi italiani siamo choosy perché vogliamo la pappa pronta, il ragù della nonna e i film doppiati in italiano. Bene, io dei film guardo tantissimo l’aspetto visivo, dalla regia alla fotografia, dalle scenografie e ricostruzioni storiche alle inquadrature, ergo i sottotitoli mi impediscono di concentrarmi sulla parte per me più sfiziosa. Io i film li voglio vedere doppiati.
Tanto più se devo scoprire che Patrick Dempsey ha una vocetta da vecchio isterico e il suo compare – Ben Schnetzer nei panni del giovane Marcus Goldman – balbetta ogni due per tre come se si trovasse sempre lì per caso.
Tuttavia la serie è meno peggio di quel che vi potrebbe sembrare dalle premesse. Il limite delle dieci puntate asciuga un po’ le troppe ripetizioni – seppur presenti – del romanzo, la mano di Annaud si intravede in qualche inquadratura più da cinema che da serie e la ricostruzione dell’epoca pare funzionare a dovere. I colpi di scena sono ben calibrati e, dopo un avvio molto lento e incerto nelle prime puntate, vanno in crescendo dando un certo mordente agli episodi finali. Il casting è altalenante; Patrick Dempsey è troppo vecchio per il Quebert giovane e troppo giovane per quello invecchiato, ma tant’è, è lui il nome di prestigio su cui si basa l’intera serie. Schnetzer mi è parso davvero inappropriato, tuttavia se lo scopo era di rendere il personaggio odioso che è Marcus nel libro, lui ci va vicino alla grande. La giovanissima Nola è resa in modo assai efficace da Kristine Froseth, attrice semi esordiente, forse la migliore del lotto. I tanti personaggi di contorno non si fanno troppo notare né in bene né in male.
In conclusione, e senza spoiler visto che i colpi di scena, benché poco credibili, sono tanti, per una volta la serie ha forse qualcosa da insegnare al libro e mi sento di consigliarla, ma solo come riempitivo se vi volete riposare da qualcosa di più impegnativo e corposo. La Verità sul Caso Harry Quebert non è certo di quelle serie che vi faranno gridare al miracolo.
A meno che non arrivi Patrick Dempsey.

La Trama



Harry Quebert è uno scrittore americano entrato nel mito per il suo romanzo Le Origini del Male, una sorta di Umberto Eco infarcito di luoghi comuni americani e con l’aspetto di Patrick Dempsey. Ha trovato il suo buen retiro in una villa affacciata sul mare del Maine, dove da anni continua a scrivere senza avvicinarsi alla qualità del suo capolavoro. Marcus Goldman è un giovane – e arrogante, molto arrogante – scrittore di successo, Dio sa perché allievo prediletto del Maestro.
Goldman è in possesso di un contratto milionario per il suo nuovo romanzo, ma da un anno non riesce a scrivere una riga. Va a trovare il suo vecchio maestro in cerca di ispirazione, ma poco dopo – che porti una sfiga nera? – questi viene arrestato dopo che, nel giardino della villa, viene trovato un cadavere. Il corpo è quello di Nola Kellergan, ragazzina di 15 anni che anni prima era scomparsa senza essere più ritrovata. Assieme ai resti, il manoscritto originale de Le Origini del Male. Si scopre che Quebert intratteneva una relazione à la Lolita con la giovane. Marcus rimane nella cittadina per cercare di scagionare l’amico e per tentare di tirar su qualche milioncino scrivendoci su un libro scandalo. Dopo un’estenuante serie di colpi di scena che mettono in luce come l’idilliaco paesino – ma va’ – sia in realtà luogo di demoniaca perversione e che, come si dice, il più pulito abbia la rogna, riusciranno i nostri a scoprire l’agognata – ma da chi? – verità?

Voto: 5

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