Karen O - Lux Prima (2019) Recensione
Gli Yeah Yeah Yeahs, alfieri di un certo alt rock molto in voga qualche anno fa, non mi hanno mai convinto appieno; Karen O, invece, mi ha sempre affascinato sia per la voce che per l’uso che ne fa, un’attitudine da rockstar che va a unirsi al fascino un po’ sghembo di certe produzioni lo-fi e inaspettate collaborazioni.
Dopo
l’esordio solista piacevolmente di basso profilo di Crush Songs, torna con Lux
Prima, frutto della collaborazione con uno dei Re Mida della produzione USA,
Danger Mouse.
Se
il mondo fosse un posto più bello, questo potrebbe essere il disco della
definitiva esplosione per Karen O; temo invece che rimarrà precluso alle
orecchie cerumate del grande pubblico e al tempo stesso condannato dai
superficiali ascolti degli avanguardisti indie, sempre scontenti quasi
mangiassero pasta scotta a ogni pasto.
Se
leggerete altre recensioni - ma perché farlo se state leggendo la mia? –
incapperete nell’abusato aggettivo “cinematografico”, beh, vi garantisco che è
la parola giusta. L’apertura con la title-track offre un’introduzione di tre
minuti che sembra presa da una colonna sonora del Morricone da giallo anni ’70
– Quattro mosche di velluto grigio, per dire – per poi sfociare in un pezzo di
grande atmosfera, dove fanno capolino suggestioni Air che torneranno spesso
nell’album. Ministry offre un arpeggio spaghetti western impiantato su una
batteria quasi hip hop e una melodia cristallina dove Karen O tira fuori il
lato più carezzevole della sua voce. Woman e Redimeer sono pezzi più
genuinamente rock in cui la cantante di origine sudcoreana gigioneggia con
grande padronanza, mentre in Drown tornano suggestioni quasi trip hop
pesantemente debitrici agli Air.
Reveries è l’apice emozionale del disco: una chitarra strimpellata malamente con una registrazione che più fatta in casa non si potrebbe, fanno da sfondo a una prestazione vocale assolutamente da brivido di Karen, che azzecca una melodia alla Lee Hazlewood che farebbe innamorare Tarantino. Chapeau.
Reveries è l’apice emozionale del disco: una chitarra strimpellata malamente con una registrazione che più fatta in casa non si potrebbe, fanno da sfondo a una prestazione vocale assolutamente da brivido di Karen, che azzecca una melodia alla Lee Hazlewood che farebbe innamorare Tarantino. Chapeau.
Nox
Lumina chiude da par suo un disco che mischia Tarantino e gli Air, Morricone e
Gainsbourg, a questo punto dell’anno una delle cose migliori uscite.
Voto:
8
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