Sulla TV italiana e sulla sospensione dell'incredulità

 Per motivi su cui non mi dilungherò, soprattutto perché interessanti quanto un documentario sulla riproduzione delle otarie marine, sono investito quasi giornalmente da piccole, ma quasi letali, dosi di televisione spazzatura. E per televisione spazzatura, state ben attenti, non intendo le fiction di Gabriel Garko o le soap spagnole, bensì la vera TV spazzatura, quella con la S maiuscola, ovvero reality show e trasmissioni di pseudo servizio. Mi riferisco a veri classici del Trash, come l'insuperabile Uomini e Donne, l'intramontabile Forum, i sempreverdi (o marroni) reality storici quali Grande Fratello e Isola Dei Famosi, ma anche le nuove leve della monnezza, ossia quell'orda di piccoli reality che hanno invaso l'ex tubo catodico col mortifero avvento del digitale terrestre. Ce ne sono veramente per tutti i gusti, dalle finte storie di tradimenti di Alta Infedeltà, a decine di programmi e contest culinari, pseudo artistici, canori, a sfide di sopravvivenza, reality sul vestito da sposa più adatto, sul restauro di auto d'epoca, sul rilancio di ristoranti troppo brutti per essere veri e, insomma, il classico chi più ne ha, più ne metta.
Ora, vi chiederete dove il vostro umile narratore voglia andare a parare dopo cotanta introduzione, e sicuramente sarebbe interessante aprire un dibattito sociologico, che peraltro non saprei come portare avanti, sul perché tale spazzatura infiocchettata non manchi di ottenere buoni risultati di ascolti, o ancora sul decadimento di questa società malata, etc. etc.
Invece l'unica epifania che mi ha colto, e che voglio qui riportarvi, è del tutto personale. Ed è la scoperta del motivo profondo per cui questa roba non riesce in nessun modo a ottenere il mio pur blando interesse, non fosse altro che per la curiosità di capire cosa solletica l'interesse dei miei colleghi dell'umano consesso, o per la morbosità dei temi trattati, o, al limite, per vedere fino a che punto le persone possano distruggere la propria dignità pur di apparire davanti a una telecamera. E invece niente, nisba, nix... Non riesco ad assistere a tali nefandezze per più di qualche minuto prima di essere assalito da conati inarrestabili, manco avessi ingerito un gallone di latte scaduto da sei mesi.
E, per spiegarmi, devo introdurre il concetto, che molti già conosceranno, di sospensione dell'incredulità. Concetto su cui poggiano le fondamenta di tutta la narrativa di ogni tempo, dalla Bibbia a Omero, da Dante a Shakespeare, fino a Manzoni, Hemingway, Poe, per arrivare ai giorni nostri, con orde di supereroi in ogni guisa e casalinghe e preti detective; concetto però, che fu messo per la prima volta nero su bianco da S.T. Coleridge in un suo scritto, che mutuiamo da Wikipedia:
 « ... venne accettato, che i miei sforzi dovevano indirizzarsi a persone e personaggi sovrannaturali, o anche romanzati, ed a trasferire dalla nostra intima natura un interesse umano e una parvenza di verità sufficiente a procurare per queste ombre dell'immaginazione quella volontaria sospensione del dubbio momentanea, che costituisce la fede poetica. »
In poche parole, la sospensione dell'incredulità è quel patto non scritto tra il narratore, sia esso scrittore, regista, fumettista, e il fruitore, che permette per la durata dell'opera di fantasia, nell'ambito di determinate regole di verosimiglianza e di genere, di credere ciecamente a quello che si sta guardando. Ovvero, è il patto che ci permette non solo di credere possibile che Superman voli a una velocità superiore a quella della luce (o anche solo che voli), che Tex non venga mai colpito dalle pallottole di avversari addestrati a colpire una pulce sul dorso canino a un miglio di distanza, quindi eventi abbastanza iperbolici, ma anche a storie più sottilmente inverosimili; per esempio, come è possibile che ovunque si rechi, Jessica Fletcher inciampi in un cadavere nemmeno fossimo in una puntata di Quarto Grado e, soprattutto, nessuno la sospetti mai visto che, di riffa o di raffa si trova sempre sul luogo del delitto? O ancora, è possibile che Don Matteo in dieci serie si sia trovato davanti una serie di omicidi talmente imponente da aver decimato la popolazione della piccola Gubbio? E che ogni caso segua fedelmente lo schema: Don Matteo scopre il cadavere, arrivano i Carabinieri che impulsivamente arrestano l'uomo sbagliato; DM lo va a trovare in carcere, instilla il dubbio nel Maresciallo e lo fa scagionare tra i risolini sarcastici del Capitano. A questo punto il tutto si ripete per una seconda volta, finché il prelato detective ha l'illuminazione e riesce a far confessare, anzi a confessare, il colpevole poco prima che i Carabinieri, in genere per una botta di culo, giungano alla stessa conclusione. Ma la sospensione dell'incredulità è anche quella per cui accettiamo che Walker Texas Ranger sfondi vetrate anche se trova la porta aperta, senza mai versare una goccia di sangue con tutto quel vetro, o che l'hacker di Mr. Robot, uno schizofrenico asociale e dedito alla morfina, sia circondato per tutta la serie da uno stuolo di bellocce che fanno a gara per salvarlo.
Insomma, quel che ci permette di credere a tali enormità, paradossalmente, è sapere che sia tutto finto! Il narratore, infatti, non pretende che noi crediamo davvero alle mirabolanti imprese di Spiderman, ma nemmeno agli squallidi e fin troppo realistici casi dell'Ispettore Derrick; in definitiva, sapere che tutto è finto, ce lo fa accettare per vero. Ed è questo il meccanismo che non scatta, non può scattare, almeno nel sottoscritto, davanti al reality, proprio perché gli autori non si appellano alla sospensione dell'incredulità, e, anzi, si fanno forti di mostrare vicende che in tutto e per tutto ci spacciano per vere. Come possiamo credere alle cause di Forum o alle storie di Alta Infedeltà quando tutto è palesemente finto? Come facciamo a credere che le persone possano comportarsi naturalmente essendo seguite 24 ore su 24 dalle telecamere? O alle finte storie di Uomini e Donne e alle sciocche rivalità da contest dove ballerini sfidano cantanti soul e suonatori di ascelle lottano ad armi pari con prestigiatori, comici e petomani?
Insomma, il televisore, così come il pc o il minuscolo schermo di uno smartphone, non sono che involucri che dovrebbero farci viaggiare sulle ali della fantasia, facendoci accettare l'improbabile, non spacciandoci per reali vicende talmente squallide da non risultare credibili.
Ridateci la finzione più improbabile, e noi torneremo a credervi.

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