Capolavori : Murder Ballads-Nick Cave (1996)
Murder Ballads più che un album è un'opera letteraria, di un romanticismo gotico che sarebbe scaturito dalla penna di un Edgar Allan Poe o di un Byron, se solo fossero vissuti oggi. Il concept, come esplicita palesemente il titolo, ruota attorno al tema dell'omicidio, e più ancora delle tipiche ossessioni di Cave: amore, sangue e morte. Se ai tempi della tossicodipendenza e della vita on the road i lavori di Cave erano arricchiti da quel tocco di autenticità e urgenza dovuti allo stile di vita dell'autore, qui l'australiano, già folgorato da misticismo e redenzione da The good son(1990) in poi, si reimmerge nei suoi temi preferiti in un disco che risulta però perfettamente studiato a tavolino, in senso appunto letterario. Ciò è stato visto da alcuni come un difetto, io vi consiglio invece di avvicinarvi a questo capolavoro coi testi alla mano, altrimenti rischiate di perdervi il meglio. Si parte con Song Of Joy, dove la storia di un omicidio familiare è narrata con toni e suggestioni da Racconti del terrore di Poe, il tutto ben supportato dalla musica, con un piano che evoca atmosfere horror e l'impagabile voce di Cave che recita via via più allucinata la storia di Joy.
She grew so sad and lonely
Became Joy in name only
Si prosegue con una favolosa rilettura pulp del classico blues Stagger Lee. Cave stravolge, anche nel testo, lo standard; siamo sempre in ambito blues, ma un blues sghembo dai giri di basso ossessionanti e con un Cave sempre più istrionico che recita tutti i ruoli dando vita a un vero e proprio breve film.
He said, "Well bartender, it's plain to see
I'm that bad motherfucker called Stagger Lee"
Mr. Stagger Lee
Due sono i duetti del disco, e entrambi sono piuttosto famosi; si tratta della ballata tradizionale Henry Lee, registrata con P.J. Harvey, allora compagna di Nick, dove la storia si ribalta ed è lei che uccide l'uomo che la rifiuta, e del valzer da brividi e atmosfere tra Cohen e De Andrè Where the wild roses grow, dove il nostro riesce nell'improbabile compito di rendere gradevole la performance di una Kylie Minogue mai più così ispirata.
Le altre perle sono il blues metallico Lovely Creature, dove la cupa voce di Cave stride coi la la la del coretto femminile per un risultato straniante, la scellerata polka di The Curse Of Millhaven, che riprende struttura e melodia di Henry Lee, e la classicissima ballata The Kindness Of Strangers, dove, come in vari pezzi del lavoro, le atmosfere dolci e serene della musica contrastano con il testo tragico. Per concludere, un ulteriore tris di capolavori, a partire dal blues ossessivo e quasi jazzato di Crow Jane, passando per la lunga, estenuante O'Malley's Bar, per finire con la rilettura della dylaniana Death is not the end.
Insomma un disco che, pur essendo il più celebre di Nick Cave anche se non necessariamente il migliore, non può mancare tra gli ascolti dell'appassionato e che, a parer mio, rappresenta l'ideale inizio dell'esplorazione della discografia di quest'imprescindibile artista.
Lascio ogni giudizio intelligente agli altri, io dico solo una cosa: "lo amo!"
RispondiEliminaLo ammiro tantissimo anche io, Mi piacciono i suoi lavori nei Birthday party, a quei tempi fu una vera ventata velenosa di aria fresca la loro musica. Complimenti per il Blog. E' molto interessante. E ha molto da dire.
RispondiEliminaBenvenuto e grazie...
RispondiEliminaBellissimo album, e bellissimo blog, ci sono delle perle.
RispondiEliminaTea