Effenberg - Il Cielo Era Un Corpo Coperto (2019) - Recensione


Dopo avervi parlato in modo lusinghiero di Fwora Jorgensen, il cantautore finto finlandese, ecco un altro bel disco dalle atmosfere minimali del nord Europa, quello di Effenberg.




Anche in questo caso il moniker – che cela il toscano Stefano Pomponi – richiama suggestioni nordiche, così come la bella copertina di questo Il Cielo Era Un Corpo Coperto. A giudicare dall’assenza di sito – provvisoria dal 2017 – e dalla citazione zappiana sulla pagina Facebook (" parlare di musica e' come ballare di architettura") il nostro non ama troppo parlare di sé e della sua musica, preferendo far parlare la sua musica. Nulla di male, vista la qualità sorprendente di questo suo secondo lavoro.
Siamo nel campo di un ItPop molto raffinato e denso di nobili influenze, filtrate attraverso la voce delicata ma ferma di Effenberg e un minimalismo davvero azzeccato; nonostante Stefano lavori di sottrazione non si sente la mancanza di nessun elemento.

Le influenze, dicevamo. Prendiamo Sul Mare, uno dei pezzi forti del disco; il brano parte come una canzone dei Baustelle, la voce ricorda Pacifico, il ritornello pare preso di peso da un pezzo di Battiato, mentre la seconda parte, con l’arrangiamento che si anima di colpo, siamo dalle parti di Amarsi Un Po’ del grande Lucio Battisti. Eppure mai, nemmeno per un secondo, si percepisce confusione nella personalità ben definita del cantautore toscano.
E di personalità bisogna averne per proporre canzoni ultra minimali come Uccellino e Quello Che Voglio, animata dalla sola voce – che qui, oltre a Battisti sembra citare Luca Carboni – e da un soffio di synth. O come Presepe, che dipinge un quadretto della vita quotidiana ai tempi della società multietnica che rigurgita fascismo social.
Ma i pezzi migliori forse sono la malinconica Orietta, dall’irresistibile andamento quasi country e cita Vasco – ma solo come roba che si canta da bambini – proponendo uno dei più bei ritornelli degli ultimi anni e la titletrack, posta in chiusura. Anche qui un brano malinconico ma con misura, con un perfetto equilibrio tra strofa e inciso – che a me ha ricordato un po’ la bellissima e sconosciuta Infinita è La Notte di Pacifico e Bianconi – e un testo interessante.
Un lavoro davvero interessante e, soprattutto, già maturo. Quasi perfetto, insomma, e che ci regala una sicurezza: non vedremo mai Effenberg dove sarebbe giusto vederlo in un mondo ideale, ovvero in cima alle classifiche.

Voto: 8


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