Black Mirror, un ripasso e la Quinta Stagione
Da qualche settimana è disponibile su Netflix la quinta stagione di Black Mirror, la serie che più di ogni altra ha ridefinito il concetto di serie TV negli anni ’10.
Appena uscite le prime
indiscrezioni, il fatto che la nuova stagione fosse composta da tre soli
episodi, segnando il ritorno alle origini delle prime due serie, aveva fatto
ben sperare i fan della prima ora.
Speranza vana.
Ma andiamo con ordine. Black
Mirror nasce originariamente nel 2011 dalla fervida immaginazione di Charlie
Brooker in Inghilterra ed è prodotto da Endemol. La serie rilancia il format
antologico che negli anni ’60 aveva fatto la fortuna – se non il mito – di Ai
Confini Della Realtà e, in misura leggermente minore, Alfred Hitchcock
Presenta. Una scelta di per sé coraggiosa, in tempi in cui si cerca di
fidelizzare, quando non drogare, il telespettatore con stagioni sempre più
lunghe, dove la snervante evoluzione dei personaggi e i cliffhanger dell’ultimo
episodio hanno il solo obiettivo di creare una vera e propria dipendenza.
Il tema è la deriva della
tecnologia e alcuni episodi risultano in questo senso profetici in modo
inquietante. L’obiettivo è un po’ quello di mettere in guardia dall’eccessiva
invadenza delle nuove tecnologie e delle dinamiche create dai nuovi media,
specialmente i social, e dalla dipendenza da smartphone, laptop e quant’altro.
Dopo le prime due stagioni
di tre episodi l’una, più un curioso omaggio natalizio (col mitico Don Draper
di Mad Men), la produzione passa nelle mani di Netflix e qui iniziano i guai.
I sette episodi pre Netflix,
più o meno riusciti, hanno alcune caratteristiche che li renderanno archetipi.
La qualità insuperabile degli script e degli attori; l’incredibile senso di
inquietudine che lasciano nello spettatore; il fatto di tracciare un prima e un
dopo nel mondo delle serie TV; le atmosfere adorabilmente british.
Il primo episodio, Messaggio
al Primo Ministro, è un vero pugno nello stomaco. 15 milioni di celebrità e
Orso Bianco sviscerano a dovere i pericoli e le derive possibili – se non già
realizzate – di talent e reality show. Ricordi pericolosi ci mette in guardia
sui rischi dell’overdose di memoria virtuale a cui siamo sottoposti e sul
sempre più dilagante effetto nostalgia che a volte impedisce di andare avanti
nella vita di tutti i giorni. Torna da me affronta i risvolti etici dell'intelligenza artificiale con sensibiltà in un episodio tra i migliori, tanto angosciante quanto poetico. Vota Waldo, per certi versi, sembra anticipare
certi tratti della politica che sarebbe venuta di lì a poco, anche – ahimé – in
Italia.
Si può parlare, a buona
ragione, di un vero e proprio capolavoro.
Il passaggio a Netflix vira
da subito la priorità dalla qualità – che pure inizialmente si mantiene alta –
alla quantità. Gli episodi diventano sei per stagione e la formula viene
pericolosamente diluita. Una certa americanizzazione del format salta subito
all’occhio nell’estremizzare certi tratti già da Caduta Libera, distopia sull’eccessiva
invadenza dei social, ottimamente realizzata ma fin troppo caricaturale e
didascalica nel proporre il suo messaggio. Come se gli spettatori – in un
tentativo di allargare la platea – avessero bisogno di eccessive spiegazioni
sui passaggi della trama. Non mancano anche nella terza e quarta stagione
episodi di gran classe, dal quasi horror di Giochi Pericolosi alla delicata
poesia di San Junipero, dalla distopia militare di Gli uomini e il fuoco alla
caratterizzazione psicologica di Arkangel. Eppure, come detto, qua e là
qualcosa scricchiola. L’eccessiva durata di Odio Universale, la caricatura dei
nerd di USS Callister, l’eccessiva complessità di Hang the DJ, la noia vera e
propria della caccia all’uomo di Metalhead e l’autoreferenzialità del
conclusivo Black Museum.
E siamo ai giorni nostri.
La quinta stagione
inevitabilmente portava Black Mirror a un bivio: qualità dura e pura delle
prime due stagioni o puro entairtment sulla scia di terza e quarta?
La scelta – purtroppo – è stata
palesemente la seconda.
Il primo episodio mi ha
lasciato davvero interdetto. Questo perché non avevo visto gli altri due.
Striking Vipers indaga la
dipendenza dai videogiochi nei quarantenni e, di nuovo, i rischi di intelligenza
artificiale e vita virtuale. Nulla di nuovo sotto il sole. La qualità formale
rimane alta, col tipico stile asciutto e personaggi giovani, belli,
insoddisfatti e, per così dire, indietronici. La storia è debolissima e man
mano sempre più pretestuosa. La battuta sul personaggio che si accoppia con l'orso
Tundra del videogioco, da cult nelle intenzioni, classifica in poche parole l’episodio:
un tentativo goffo e a tratti volgare di ridare lustro a Black Mirror.
Smithereens è il consueto
attacco ai social network. L’episodio è paradigmatico di come la serie sia
passata da inquietante Cassandra a patinata pubblicità progresso. Il pericolo
di cui ci vuole avvertire è davvero quello dell’invasività degli smartphone?
Che controllare le notifiche sui social mentre si guida di notte potrebbe
essere pericoloso? Siamo seri? Per quello basta leggere i giornali, da Black
Mirror ci aspetteremmo storie visionarie, non il personaggio principale che si
dispera rievocando la cazzata fatta come fosse in una pubblicità del Ministero
della Sanità. Inoltre il ritmo è davvero lentissimo e snervante.
Ma l’indiscussa vetta – è ironia
eh – della quinta stagione è il conclusivo episodio Rachel, Jack e Ashley Too,
dal titolo raffinatamente fantasioso. La storia può vantare la presenza di un’imbarazzante
Miley Cyrus nella parte di una postar ribelle, isterica e poco dotata
musicalmente. Praticamente sé stessa. Tralasciamo gli infiniti rivolgimenti
della trama che si alternano in un ottovolante di luoghi comuni: la ragazzina in
crisi da trasferimento in una nuova città e high school; la figura della madre
morta sullo sfondo; il padre scienziato svitato ma simpatico; la sorella
ribelle e indie al punto giusto che però ama la musica di quando Brooker era
giovane; un simpatico robottino; la popstar ribelle, per l’appunto.
A farla da padrone sono
atmosfere comiche, non si sa quanto volontarie, buchi di sceneggiatura capaci
di attrarre e inghiottire tutta la serie e la sua credibilità e una qualità di
script e recitazione davvero molto imbarazzanti.
Il momento catartico è
quando il robottino stacca la spina alla popstar in coma. Meglio sarebbe stato
che il buon Charlie Brooker avesse fatto altrettanto con Black Mirror, la sua
creatura. Prima della quinta stagione, possibilmente.
Voti:
Stagione 1: 9
Stagione 2 + Extra: 9
Stagione 3: 7
Stagione 4: 6.5
Stagione 5: 3
Commenti
Posta un commento