Shotgun Sawyer - Bury The Hatchet (2019) Recensione


Vi avevamo parlato brevemente degli Shotgun Sawyer tre anni fa, Bury The Hatchet segna il loro ritorno col classico “delicato” secondo album.



Innanzitutto dall’apertura di Ain’t Tryin To Goin’ Down Slow si capisce subito che le atmosfere sono le stesse che ci avevano fatto appassionare all’esordio del 2016. Ritmi indiavolati, chitarrismo blues rock accelerato all’americana e una certa attitudine Redneck à la ZZTop, nonostante i tre ragazzotti tutti camicie a quadri e riff hard siano nati, cresciuti e pasciuti al sole della California.

Il lavoro è molto compatto, senza cadute di tensione e la chitarra di Dylan Jarman suona davvero bene; niente virtuosismi gratuiti, satura e grezza il giusto, si muove tra Billy Gibbons e i Black Keys – ma gli Shotgun sono assai più centrati nel loro genere, per chi scrive.
Backwoods Bear ci trascina nel bayou con una slide country blues come, cinquant’anni fa, facevano i Creedence Clearwater Revival, anch’essi californiani finti sudisti alla bisogna. You Got Run parte di nuovo all’insegna di un hard blues velocissimo, poi rallenta, si trasforma in un blues urlato e stregonesco, per poi riprendere il piglio hard in coda, davvero un ottimo pezzo. Son Of The Morning è il lentone, immancabile, della situazione, buono ma non del tutto riuscito, manca un po’ di atmosfera che forse arriverà con qualche anno in più sul groppone. Hombre è un altro indiavolato boogie che omaggia gli ZZTop già nel titolo e sfoggia un andamento tra R.L. Burnside e John Lee Hooker.
Love You Right è un pezzo più anni ’70 di qualsiasi cosa sia stata suonata negli anni ’70, mentre When The Sun Breaks è un altro lento, questa volta più azzeccato, che si muove pienamente in ambito blues e dà la giusta soddisfazione all’appassionato. C’è ancora il tempo per chiudere con la slide di Shallow Grave.
In definitiva, Bury The Hatchet è il tipico disco da prendere o lasciare; se il fatto che una band sia al 100% derivativa e non suoni una nota – pur benissimo – nuova, vi dà fastidio, lasciate pure perdere. Se amate invece il rock blues e volete godervi nove pezzi suonati da gente che ci sa fare, è l’album che fa per voi.

Voto: 7


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