Jenny Lewis - On The Line (2019) Recensione


Jenny Lewis da vent’anni imperversa tra musica, cinema e televisione negli Stati Uniti, sempre a un passo dal successo di massa e incarnando alla perfezione il fascino discreto e un po’ sghembo dell’artista indie.



Beh, con questo On the Line – il suo quarto lavoro da solista – sarebbe pure arrivato il momento di riscuotere la cambiale col successo, a 43 anni. Noi temiamo che non sarà così, tuttavia se c’è un disco che meriterebbe di essere ascoltato da tutti, è proprio questo.
Sei dischi coi Rilo Kiley, uno col duo Jenny & Johnny, infinite collaborazioni e quattro lavori da solista, Lewis può ben definirsi una veterana; e l’esperienza si vede e si sente tutta, negli undici pezzi di On the Line. Jenny canta con una sicurezza e una misura irraggiungibili, passando con leggerezza da un pop folk à la Dylan al pop nobile dei Beatles, con passaggi leggerissimi, forse troppo, dalle parti del power pop radiofonico americano, stile Fleetwood Mac. Che erano inglesi, ok, ma che nella parte milionaria – e meno qualitativa – della loro carriera impazzarono perlopiù in USA.
Heads Gonna Roll parte col botto; bel testo, melodia perfetta, arrangiamento azzeccatissimo con tanto di splendido solo di organo. Per me, a questo punto dell’anno, tra i cinque pezzi migliori del 2019. Wasted Youth rimane quasi sugli stessi livelli, penalizzata forse da un ritornello fin troppo leggero e solare. Red Bull & Hennessy veleggia appunto dalle parti dei Fleetwood Mac, o anche di epigoni meno nobili – ricordate i Corrs?

Hollywood Lawn è un pelino sotto Heads Gonna Roll, ma dimostra comunque come Lewis sia davvero di un altro pianeta quando si butta su ritmi lenti tra pop, country e folk, novella Neil Young in gonnella.
Do Si Do è forse il pezzo più trendy, e lo sarebbe ancor di più se fossimo nel 1999. Arrangiamento tra Moby – quando gli bastava la musica per far parlare di sé – e l’ultima Van Etten. Davvero un bel passaggio sorprendente.  Il disco va avanti così, tra episodi più solari – La bella e conclusiva Rabbit Hole – e passaggi ancora intimisti – Dogwood e il gioiellino Taffy – senza cadute di stile.
Sicuramente un disco imperdibile per tutti gli appassionati del pop di qualità.

Voto: 8


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