Recensione: Lana Del Rey - Lust For Life (2017)
Lana Del Rey esce col suo quarto album e anche se ormai l'effetto sorpresa da Next Big Thing è sfumato, si conferma la più adulta e matura tra le popstar da copertina.
L'uscita di Lust For Life, e la contestuale ripresa delle pubblicazioni del mio blog, due eventi di per sé abbastanza epocali, mi ha rammentato i motivi per cui tempo fa smisi di leggere la maggior parte delle recensioni musicali, specie quelle pubblicate da siti e riviste non propriamente di settore; girando per qualche sito non farete fatica a trovare giudizi tagliati con l'accetta sul nuovo album della bella Lana. La solfa è più o meno la stessa, Lana è sempre uguale a sé stessa, la Del Rey è imprigionata nel passato e "impossibile arrivare alla fine senza assopirsi". Altro che Rihanna, Katy Perry e Lady Gaga, quelle sì che sono sempre in evoluzione... L'equivoco sembra essere di fondo e dettato a questo punto, se non da cattiva fede, da estrema ignoranza; si confonde lo stile che, grazie al cielo, la brava Lana non cambia con le fasi lunari, con l'immobilismo retrò di cui la si accusa. Al contrario, i suoni e soprattutto i testi, ma chi si prende la briga di ascoltarli? sono molto attuali.
Ma parliamo un po' di questo Lust For Life che, in realtà, è assolutamente un lavoro in pieno stile Del Rey, ma introduce parecchie novità, non fosse altro per il sorriso smagliante che per una volta la nostra sfoggia nella cover, ma soprattutto per le tante collaborazioni a cui la cantante si è offerta.
Dopo l'ottimo e suggestivo avvio di Love, che cita palesemente e a piene mani i Beach Boys di Don't Worry Baby, ecco subito il primo, e forse più importante feat del disco nella titletrack Lust For life con The Weeknd; il pezzo è destinato a diventare un classico del songbook di Lana Del Rey, con l'impasto delle voci che si crea quasi magico e le capacità vocali della ragazza ben in evidenza senza ricorrere a urla sguaiate come tanto va di moda, e come forse vorrebbero i redattori frustrati di qualche rivista generalista, il tutto sorretto da una melodia non trascurabile. E invece trascurabile, almeno in confronto al resto del disco, è il primo dei due pezzi con A$AP Rocky, Summer Bummer, mentre l'altro, Groupie Love, se la cava meglio. Inutile comunque starvi a raccontare il disco, che peraltro è molto lungo, pezzo per pezzo, mi limiterò perciò a citare i brani che trovo una spanna sopra il resto, e sono When The World Was At The War We Kept Dancing, dal testo davvero non trascurabile, i duetti con Stevie Nicks, vocalist storica dei Fleetwood Mac, e con Sean Ono Lennon in Tomorrow Never Came che cita i Beatles già nel titolo, rivelandosi davvero un pezzo da antologia; intensissime anche Heroin e Change, che chiudono con una sorta di trittico emozionale l'album assieme a Get Free, palese tributo all'immortale Creep dei Radiohead, di cui ricalca gli accordi prima di aprirsi in un ritornello leggermente più solare.
In conclusione, Lana Del Rey si conferma una delle star meno compromesse con esigenze commerciali, ancor più che Adele, l'unica a cui mi sento di accostarla, e in modo più soft rispetto a una Florence Welch. Se non fosse per lo stupendo precedente di Ultraviolence, prodotto dal genietto di Dan Auerbach, questo Lust For Life sarebbe senza dubbio il suo miglior lavoro. Così, invece, ci devo pensare su.
Voto: 7.5
Questa volta Lana ci ha messo qualche ascolto a conquistarmi, ma alla fine ce l'ha fatta. Anche questa volta.
RispondiEliminaGet Free mi piace in maniera particolare e in effetti mi ricordava qualcosa di famigliare... nientepopodimeno che Creep!
Ciao Marco; sì, il suo sound è sempre meno immediato, ma questo per me è un bene. Get Free è quasi una cover, ma anche il pezzo con Lennon cita i Beatles, mi sembra Something in particolare e Love i Beach Boys alla grande. Ben ritrovato
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