Avvistamenti: The Last Shadow Puppets - Everything You've Come To Expect (2016)
I Last Shadow Puppets sono il tipico caso di Spin Off che supera l'originale; infatti, questa sorta di moderno supergruppo era nato come valvola di sfogo di Alex Turner, leader degli Arctic Monkeys, unica Next Big Thing britannica sopravvissuta a sé stessa degli ultimi quindici anni, e del suo eterno sodale Miles Kane, sorta di amico sfortunato, già nei bravi ma falliti Rascals e titolare di una dignitosa carriera solista, comunque lontana dai fasti di Turner.
Il loro primo lavoro, The Age Of The Understatement del 2008, era finito nel novero dei miei album preferiti degli anni zero, e per molto tempo ho atteso un degno seguito; ora è arrivato, anche se otto anni rischiano decisamente di essere troppi. Ma come suona questo nuovo lavoro? Sicuramente c'è stata la fatidica maturazione, ma non è tutto oro quel che riluce. La forza del debutto stava proprio nei suoi eccessi, mentre qui tutto è più raffinato e laccato; se The Age Of The Understatement era in un certo senso un lavoro ancora post adolescenziale, è pure vero che si trattava di un disco talmente schietto, sincero, sfrontato da cogliere l'ascoltatore di sorpresa, e di approfittare delle sue difese abbassate per mandarlo KO con piccoli classici come la title track, o Standing Next To Me, o la favolosa My Mistakes Were Made For You. Tuttavia Everything You've Come To Expect, pur non suonando così rivoluzionario, e in questo senso il titolo mette bene le mani avanti, è davvero un buon disco, probabilmente anche una delle migliori uscite di questa prima metà del 2016. Se i numi tutelari del debutto si chiamavano Scott Walker, Ennio Morricone e Lee Hazlewood, e tutto l'immaginario sixties, qui la macchina del tempo si sposta di qualche anno avanti, andando a pescare nel groove di Isaac Hayes, nella classe degli Style Council, in qualche spigolosità chitarristica alla Television(anche se non mancano passaggi su note basse degni degli Shadows). Il tutto suona più confidenziale, notturno, come se dai duetti Hazlewood-Sinatra, fossimo passati ad atmosfere più alla Dusty Springfield, con un uso largo, ma mirato, degli archi(arrangiati da Owen Pallett).
I pezzi forti di questo lavoro sono sicuramente l'apertura di Aviation, con intrecci chitarristici che rimandano al primo album e una melodia che si imprime nella mente senza per questo infastidire, mentre qualcosa nell'uso degli archi rimanda alle cose migliori dei Verve, Miracle Alligner che prosegue proponendo una bella parte di chitarra che si muove sulle note più gravi, e la title track, di netta derivazione beatlesiana. Altri pezzi forti del menù sono la frenetica Bad Habits, Sweet Dreams TN che rimanda ai sixties più nobilmente pop, a Phil Spector e al suo Wall Of Sound, e la stupenda Pattern, forte di un giro d'archi ruffiano, già sentito, ma irresistibile.
Un ultima menzione alla bella copertina del disco, uno scatto anni '60 di Tina Turner, che la dice lunga sui riferimenti temporali dei due ragazzi.
In sostanza un gran bel lavoro, senza troppi riempitivi, con un solo grande difetto: essere il seguito di un piccolo capolavoro, probabilmente insuperabile perché legato indissolubilmente al periodo storico.
Voto: 7
Pure per me una band spinoff in grado di superare Arctic Monkeys e Rascals.
RispondiEliminaE questo loro nuovo mi sta piacendo forse quasi quanto il debutto...
D'accordo con te, è sicuramente meno immediato, ma non è detto che sia un male.
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