Altre forme di blues : Mojo-Tom Petty & The Heartbreakers (2010)
Sono ormai passati quasi tre mesi dall'uscita di Mojo,il nuovo album di Tom Petty coi suoi fedeli Heartbreakers,se mi decido a parlarne solo ora il motivo è semplice quanto inspiegabile:non l'avevo ancora ascoltato fino a poche settimane fa.Eppure me l'ero procurato quasi subito,pur non essendo un fervente fan di Petty,attirato dal titolo dall'innegabile aroma di blues.E,devo dire,l'ascolto ha prodotto risultati al di là delle più rosee aspettative,Petty (che ho sempre ritenuto un grande musicista,su cui pesa un pregiudizio che divide con tanti altri,tipo Springsteen e Dylan,cioè quello di aver venduto troppi dischi per essere accettato da una certa intellighenzia snob...) svicola in parte dal suo genere per incidere 65 minuti quasi totalmente in presa diretta tra blues nelle sue varie accezioni e accenni di psichedelia hard rock.In poche parole,un disco di rock come non se ne sentivano da tempo,ma di cui si sentiva il bisogno e che,per una volta,si fa apprezzare in tutta la sua lunga durata.L'attacco di Jefferson Jericho Blues chiarisce subito le intenzioni,un blues tirato tra armonica e chitarra,imparentato coi mostri sacri di Chicago ma anche col primo John Mayall.First Flash Of Freedom è una lunga cavalcata psichedelica dalle parti dei Doors e della West Coast,con fughe chitarristiche degne dei Grateful Dead,sicuramente una delle vette del lavoro;The Trip To Pirate's Cove è una sorta di omaggio (plagio?) alla Slaybo Day che il grandissimo Peter Green incise nel '78,in uno dei suoi periodi peggiori,mentre sia Candy che Let yourself go citano massicciamente lo stile di J.J.Cale.Ma sarebbe fin troppo semplice ridurre il tutto ad una caccia alle influenze pezzo per pezzo,la verità è che Tom Petty con questo lavoro riesce a compilare una sorta di catalogo del miglior blues e rock degli ultimi quarantacinque anni,riuscendo però a lasciare la sua impronta personale.E quella di Mike Campbell,chitarrista sugli scudi più che mai in questo disco,vero protagonista di parecchi episodi,sempre in evidenza ma mai sopra le righe.Continuando a curiosare tra i pezzi e le varie influenze,non si possono non notare accenti zeppelliniani nell'hard rock I should have know it e nel blues in minore Good Enough,altra grande prova di Campbell tra Page e Gary Moore.
Da segnalare anche il blues acustico di U.S.41,l'hendrixiana Takin' my time, le belle ballate No reason to cry e Something good coming e il reggae(detto da me che,scusate l'abusato gioco di parole il reggae non lo reggo...) di Don't pull me over.In una parola,per me,un disco perfetto,di quelli che vi fanno correre in cantina (se ce l'avete) a collegare l'amplificatore (se ce l'avete) e la chitarra elettrica (se ce l'avete).
Ascoltato qualche tempo fa, fece un'ottima impressione anche a me; quella che di solito mi lasciano i dischi solidi, sin dalle prime frequentazioni. Ora che me l'hai fatto tornare in mente, me lo ripiglio in mano vah :)
RispondiEliminaCiao Fede,hai detto proprio la parola giusta:è un disco solido,di quelli che si facevano un tempo.
RispondiEliminaPS
Ho visto che questa settimana tocca a te essere il bersaglio del nostro amico permaloso...non ti preoccupare,ci sono cose più serie(tipo parlare di musica...)e poi prima o dopo tocca a tutti,sei in buona compagnia!Ciao snobbona ;)