Avvistamenti : Radical Face-The Family Tree: The Roots(2011)
Ben Cooper imperversa da qualche anno nell'alternative americano come metà del duo Electric President e come factotum del progetto Radical Face. Nella mia sconfinata ignoranza non lo conoscevo, devo ringraziare quindi una mia nuova amica e i tentacolari intrecci della vita, se mi ritrovo a parlare di questo The Family Tree: The Roots, terzo lavoro del nostro e, a sua volta, incipit di una prevista trilogia dedicata alle radici della musica americana.
L'attuale riscoperta del folk da parte di molte band giovani, al contrario di come spesso accade per le mode musicali, sta dando per lo più buoni frutti, manco fossimo nella Valle degli orti. Dalle frange più commerciali, ma di ottimo livello, per capirci Midlake, Mumford & Sons, Fleet Foxes, Bon Iver e compagnia cantante, fino a progetti più di nicchia, tipo Dead Man's Bones, Erland & The Carnival e Wooden Wand, passando per il florilegio di songwriters al femminile. Senza dimenticare progetti più difficilmente etichettabili, quali il chamber-pop degli Other Lives, che il buon Cooper mi ricorda molto, specie in Black Eyes.
Ma parliamo un po' del lavoro di Radical Face; l'atmosfera è chiara fin dalla breve apertura di Names, voce filtrata e un piano che evoca rilassati paesaggi bucolici. Ma quello che colpisce è, pur all'interno di un'efficace struttura ritmica(scandita spesso e volentieri dagli handclaps), il talento di Cooper nel tessere melodie che hanno un dono raro; quello, cioé, di risultare efficaci al primo impatto, ma di crescere con gli ascolti, evitando di appiccicarsi in testa come quasi sempre accade con le melodie troppo facili. Esplicative in questo senso A Pound Of Flesh, dove sembra quasi di scorgere il fantasma di certe cose di Simon & Garfunkel, o la bella Ghosts Town, forse la vetta dell'intero lavoro. Da citare però anche Black Eyes, l'acustica The Moon Is Down, la multiforme The Dead Waltz e l'ispirata Always Gold.
Una boccata d'ossigeno per gli amanti di certe atmosfere, e un lavoro che non può non toccare l'anima dei più sensibili.
E che, proprio per questo, è destinato a rimanere il culto di pochi.
Meglio così.
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