Avvistamenti : Ceremonials-Florence+The Machine(2011)


Ci risiamo. Puntuale come l'influenza e i malanni di stagione, ogni autunno porta il nuovo fenomeno, appunto, stagionale. E io mi ritrovo immune. Manco m'avessero vaccinato col siringone per ricaricare le cartucce. Ma andiamo con ordine; sto parlando di Ceremonials, secondo, e atteso, album dei Florence+The Machine(che, non dimentichiamolo, sono una band) della rossa Florence Welch. Chiariamo subito una cosa, Florence, al netto dei litri di tinta e delle arie dark eccessive, ha fascino da vendere, forte di una bellezza che sfida i canoni tradizionali e di un buon marketing, e doti canore assolutamente rilevanti. Ma da qui allo strapparsi i capelli e gridare al capolavoro passa un'autostrada a sei corsie; già, perché, secondo me, fatta la tara a cupezze gotico/demoniache buone per adolescenti frustrati, Ceremonials è un discreto lavoro, perfettamente studiato per fare il botto e che tenta, con buone possibilità di riuscita, di strizzare l'occhio al grande pubblico, lobotomizzato da secoli di radio e talent show, senza rinunciare agli appassionati che avevano magari apprezzato l'esordio di Lungs, seppur col beneficio del dubbio che si riserva alle opere prime. I pezzi di valore non mancano, anche se molti danno l'impressione di un'eccessiva lunghezza, e la sensazione generale è quella di una maggiore maturità rispetto all'esordio. Florence è meno sguaiata e più consapevole delle proprie capacità, la scaletta è più compatta e, specie nei ritornelli, affiora una certa ruffianeria pop(il produttore, Paul Epworth, è lo stesso di Adele). Manca un po' l'estro e l'imprevedibilità di Lungs, dove a pezzi pop si alternavano cose molto diverse, tipo il bel blues di Girl with one eye. Comunque, come dicevo, di pezzi forti ce ne sono in abbondanza, ottima l'apertura con una sfilza di potenziali singoli, da Only if... alla popeggiante Shake it out, dalla bella What the water gave me, all'intensa Never let me go. In Breaking down i Florence si cimentano nell'indie-gioco preferito degli ultimi tempi: imitare gli Arcade Fire.

Ci riescono senza uscirne con le ossa rotte, niente male. Lover to lover sposta l'asticella ancora più su, clonando le atmosfere classiche del Marvin Gaye di I heard trough the grapevine, e qualcosa prende a scricchiolare. L'arsenale di fuoco dei Florence è pressocché esaurito e il menù inizia a farsi ripetitivo; da qui in poi si salvano Seven Devils(e daje co' sti cazzo di diavoli...), con un piano che sembra uscire da un horror e, se avete la delux edition, le versioni acustiche delle citate Shake it out e Breaking down, largamente migliori di quelle standard, dove Florence tira fuori una grazia che s'è tenuta in tasca finora, fino a ricordare a tratti la classe irragiungibile di una Jacqui McShee o di una Sandy Denny.E dove il tutto prende una direzione che sarebbe bello approfondire nel prossimo disco. Sempre che il botto non lo facciano davvero, e allora temo che la direzione sarà un'altra. E avremo un'altra band dal successo planetario e un talento da aggiungere a quelli sacrificati sull'altare delle classifiche.

Commenti

  1. il 2° di Florence lo aspettavo da molto, ma da questi 3 pezzi che hai scelto devo dire che mi prende molto meno di lungs, mi riservo di giudicare meglio non appena l'avrò ascoltato tutto..

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