Mattiel - S/T (2018) Recensione
Sappiamo veramente poco di Mattiel, e quel poco non è detto che sia utile a farvi capire il mio colpo di fulmine per il disco d’esordio di questa ragazza di Atlanta.
Il
lavoro s’intitola – con ricercata fantasia – Mattiel, ed è costituiti da dodici
pezzi facili, per dirla con Rafelson o se non altro coi Baustelle, che
potrebbero essere usciti da un mangiadischi del 1967, pur suonando comunque
attuali. Di più, i pezzi di Mattiel suonano senza tempo.
Ma
facciamo il punto della situazione, cosa sappiamo di Mattiel? Intanto, che non
sa giocare a tennis, e questo si capisce palesemente dal video di Count your
blessing, dove agghindata come una tennista degli anni ’80 tenta di colpire
qualsiasi cosa le venga lanciata contro, sfoggiando una tecnica discutibile e
insinuando il dubbio che la ragazza sia indecisa se impugnare la racchetta con
la destra o da mancina. Le va dato atto, però, che come fisicità sarebbe una
tennista molto credibile.
Questo
però non ci aiuta.
E
allora, spulciando Google, in particolare il suo sito, scopriamo il nome
completo, Atina Mattiel Brown, e la sua vera e propria doppia vita. Di giorno
designer e illustratrice, dopo il crepuscolo credibilissima interprete di una
sorta di proto punk à la Stooges, con robuste venature di blues grezzo e soul
bianco.
Sempre
secondo il sito, il tour europeo intrapreso in autunno avrebbe svelato l’Atlanta
best kept secret, il miglior segreto di Atlanta; ma, visto che qui da noi
nessuno pare volerlo svelare, me ne incarico io.
Le
influenze citate dalla giovane – e stilosissima, va detto – Mattiel sono quelle
dei vinili della mamma, Donovan, Peter, Paul and Mary e Joan Baez, e quelle
della radio che ascoltava in macchina tra casa e lavoro, Bob Dylan, Screamin’
Jay Hawkins, White Stripes e Andre 3000.
Si
cita anche Jay-Z ma, fortunatamente, non se ne ravvisa influenza alcuna.
Il
disco parte subito col piede a tavoletta con Whities of their eyes, che mette
in luce le doti interpretative di Mattiel, un timbro leggermente stridulo ma di
un’efficacia straordinaria. La chitarra elettrica è predominante negli
arrangiamenti ma senza essere troppo invadente. La successiva Send it over
traccia già la seconda direzione del lavoro, quella della ballata sixties con
un tocco gotico che fa molto White Stripes.
Come
dicevamo, il disco si divide abbastanza equamente tra pezzi dove si pesta
sull’acceleratore, Cass Tech vanta un attacco che pare annunciare un pezzo
dell’Iggy Pop anni ’70, e quelli più riflessivi, con l’aggiunta della nenia pop
folk – vengono in mente i Velvet Underground – di Bye bye.
Il
vero affondo è dato poco prima della fine del lavoro, con un terzetto di
ballate micidiali, che si aggiungono alla splendida Send it over. Si parte con
Just a name, un classico soul blues bianco, strettamente imparentato con I’d
rather be blind dell’inarrivabile Christine Perfect; è poi la volta della
citata Count your blessing, un pezzo praticamente perfetto dalla melodia che
risulta efficacissima dal primo ascolto e che si attesta dalle parti degli Arctic
Monkeys o forse ancor di più dello spin-off
The Last Shadow Puppets. Salty words è un’altra ballata da annali; la
voce di Mattiel è di una sicurezza assoluta anche nello spezzarsi qua e là,
l’arrangiamento pare uscito da uno spaghetti western o da una pellicola di
Tarantino – ops, forse è lo stesso – mentre a tratti si presenta, come già in
altri pezzi, un organo anni ’60 che fa tanto Animals. L’album si chiude in
gloria con Ready to think, forse il passaggio più classicamente indie.
Da
poco inoltre è uscito Customer Copy, corposo EP con almeno un altro paio di
numeri perfetti.
Concludendo,
Mattiel pur non inventando nulla, conquista chi per buona ventura si accosta al
suo esordio, in virtù soprattutto di una qualità forse sfuggente, la
credibilità. Nonostante sia il suo primo disco, tutto è magicamente al suo
posto; è difficile da spiegare, mi viene in mente questo esempio: avete
presente quando in qualche talent, X-Factor, Amici, fate voi, qualche ragazza/o
propone un classicone soul o rock, e magari è pure bravo, ma suona tanto
artefatto. Sembra cercare di fare propria una cosa non sua e per quanto ci
provi, qualcosa sembra fuori posto. Perché lo è.
Ecco,
con Mattiel succede tutto l’opposto, lei sembra proprio nel suo elemento
naturale, che sia nata per fare questo e che le sue canzoni siano sempre
esistite.
Voto:
8
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