Letture: Hermann Hesse-Il Lupo Della Steppa

Incipit

Questo libro contiene le memorie lasciate da quell'uomo che, con una espressione usata sovente da lui stesso, chiamavamo il "lupo della steppa". Non stiamo a discutere se il suo manoscritto abbia bisogno di una prefazione introduttiva; io in ogni caso sento il bisogno di aggiungere ai fogli del Lupo della steppa alcune pagine dove tenterò di segnare i ricordi che ho di lui. È poca cosa quello che so, e specialmente il suo passato e la sua origine mi sono ignoti. Tuttavia ho avuto della sua persona un'impressione forte e, devo dire, nonostante tutto simpatica.

Come corpo ognuno è singolo, come anima mai.

Tutto era molto bello, tanto la lettura dei vecchi libri quanto l'immersione nell'acqua calda, ma tutto sommato non era stata una giornata di felicità entusiasmante né di gioia raggiante, bensì una di quelle giornate che da parecchio tempo dovrebbero essere per me normali e comuni: giornate moderatamente piacevoli, abbastanza sopportabili, giornate tepide e passabili di un uomo non più giovane e malcontento, giornate senza dolori particolari, senza particolari preoccupazioni, senza crucci veri e propri, senza disperazione, giornate nelle quali si esamina pacatamente, senza agitazioni o timori, la questione se non sia ora di seguire l'esempio di Adalberto Stifter e di esser vittime di una disgrazia facendosi la barba.

 A noi immortali non piace essere presi sul serio, ci piace scherzare. La serietà, caro mio, è una nota del tempo: nasce, te lo voglio confidare, dal sopravvalutare il tempo. Anch'io una volta stimavo troppo il tempo e desideravo perciò di arrivare a cent'anni. Ma nell'eternità, vedi, il tempo non esiste; l'eternità è solo un attimo, quanto basta per uno scherzo.

 Certo per essere religiosi ci vuol tempo, ci vuole anche di più: l'indipendenza dal tempo. Non puoi essere seriamente religioso e vivere contemporaneamente nella realtà magari prendendola sul serio: il tempo, il denaro, il bar dell'Odeon e così via.

Per ballare ci vogliono qualità che io non avevo assolutamente: allegria, ingenuità, leggerezza, slancio.

L'infelicità che mi occorre, l'infelicità che vorrei è diversa: è tale da farmi soffrire con avidità e morire con voluttà. Questa è l'infelicità o la felicità che aspetto.

 Chi pretende musica invece di miagolio, gioia invece di divertimento, anima invece di denaro, lavoro invece di attività, passione invece di trastullo, per lui questo bel mondo non è una patria…

Ebbene, ogni superiore umorismo incomincia col non prendere sul serio la propria persona.

Non è bene che l'umanità sforzi troppo l'intelletto e cerchi di ordinare le cose con l'aiuto della ragione se queste non sono accessibili alla ragione. In tal caso sorgono ideali come quelli degli americani o dei bolscevichi, straordinariamente razionali entrambi, quantunque violentino e depauperino la vita perché la semplificano in un modo troppo ingenuo.

 Come la pazzia, in un certo senso elevato, è l'inizio di ogni sapienza, così la schizofrenia è l'inizio di tutte le arti, di ogni fantasia.

Così nascono, preziosa e fugace schiuma di felicità sopra il mare della sofferenza, tutte le opere d'arte nelle quali un uomo che soffre si innalza per un momento tanto al di sopra del proprio destino che la sua felicità brilla come un astro e appare a chi la vede come una cosa eterna, come il suo proprio sogno di felicità.

 La solitudine è indipendenza: l'avevo desiderata e me l'ero conquistata in tanti anni. Era fredda, questo sì, ma era anche silenziosa, meravigliosamente silenziosa e grande come lo spazio freddo e silente nel quale girano gli astri.

Se il mondo ha ragione, se hanno ragione le musiche nei caffè, la gente americana che si contenta di così poco, vuol dire che ho torto io, che sono io il pazzo, il vero lupo della steppa, come mi chiamai più volte, l'animale sperduto in un mondo a lui estraneo e incomprensibile, che non trova più la patria, l'aria, il nutrimento.

Ma se per la tua gioia hai bisogno del permesso di altri, sei proprio un povero sciocco.






















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