Avvistamenti: The Strypes-Snapshot(2013)
In tempi di One Direction e Justin Bieber, insomma di bimbiminKia al potere, quanti avrebbero scommesso su una nuova giovinezza del buon vecchio rock'n'roll e, soprattutto, non ad opera di qualche reunion più o meno in buona fede di dinosauri sopravvissuti al tempo che fu? Eppure, quasi in contemporanea con altre uscite di cui magari parleremo nei prossimi giorni, ad esempio i redivivi Kings Of Leon, tornati a suoni più ruvidi dopo le tentazioni mainstream delle ultime prove, o il ritorno dei dispersi Fratellis, ovvero il lato più divertente del pub rock d'oltremanica, o ancora la fantastica operazione filologico-nostalgica di Jonathan Wilson, eccoci a parlare degli Strypes, quattro ragazzotti irlandesi che, anziché iscriversi a X-Factor o Amici o altra spazzatura del genere, decidono di imbracciare i loro strumenti per omaggiare quella che era la musica dei padri già negli anni sessanta. Certo, c'è già chi dice che anche loro siano costruiti a tavolino, ma in fondo chi se ne frega se il risultato è un rock blues dal tiro fenomenale. Ed ecco allora Snapshot, esordio al fulmicotone le cui quindici tracce si dividono tra cover di Bo Diddley, o cover delle cover, come nel caso di I Can Tell, rubata più ai Dr. Feelgood che al vecchio e compianto Bo, di John Hiatt e pezzi originali assolutamente in stile e pertinenti, dal r'n'r scatenato di Blue Collar Jane e Mystery Man, ad un bluesaccio lento come Angel Eyes. Due parole anche sulla presenza scenica dei ragazzi che sembrano usciti dritti dal Marquee del 1965, look e movenze al limite dell'imitazione di Stones e Kinks, ma soprattutto di quelli che sembrano essere i veri numi tutelari degli Strypes, ovvero gli Yardbirds. Le note dolenti sono le solite quando si parla di questo tipo di musica, e cioè che indubitabilmente gli Strypes non suonino una nota che è una che non sia già stata suonata quasi cinquant'anni fa. La mia risposta, come sempre, è un bel chi se ne frega, visto il risultato e vista la paccottiglia che gira intorno e che viene spacciata per rock, però attenti anche all'eccesso opposto; infatti ho letto chi scrive che è ingiusto dire che i ragazzi siano troppo derivativi, perché in fondo anche Stones e Yardbirds, almeno all'inizio, facevano dischi zeppi di cover. Tutto vero, però è anche vero che ai tempi il blues dei neri era musica sconosciuta quando non negletta, onore quindi a chi portò una piccola rivoluzione nella musica europea, piccola ma che dura ancora oggi, se siamo qui a parlare di questi quattro ragazzi. E poi la tecnica; i quattro sono bravissimi, certo, ma se all'epoca un Clapton o un Jeff Beck tiravano fuori ogni sera un suono nuovo e mai sentito prima dai loro strumenti, i quattro irlandesi di Canvan se la cavano alla grande, ma si limitano comunque a riproporre. Una delle migliori uscite in ambito rock di quest'anno, comunque, e se vi piace, vi consiglio di recuperare i misconosciuti ma altrettanto validi MFC ChickenChicken di Music For Chicken.
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