Visioni: Le Confessioni (2016)
Dopo aver sbeffeggiato la politica attuale, coi suoi immobilismi e pochezza morale, nell'acclamato Viva La Libertà, Roberto Andò ci riprova con Le Confessioni; questa volta l'obiettivo principale è il mondo dell'economia, anche se pure la politica ne esce di nuovo a pezzi, visto che il tema, sacrosanto, è quello dell'impotenza di quest'ultima in rapporto alle leggi del mercato, che sempre più sembrano tenere le redini dei destini del mondo.
La trama non è complicata, e vede riunirsi i veri potenti della terra, ovvero i ministri dell'economia dei paesi più sviluppati e il direttore del Fondo Monetario Internazionale, in un lussuoso albergo termale tedesco. Come elementi di disturbo, vengono invitati tre personaggi completamente avulsi al contesto: una scrittrice di libri per bambini, tormentata al punto giusto, una rockstar di una certa età, il cui personaggio, per la verità, rimarrà talmente sfocato da chiedersi la sua utilità nella narrazione, e un monaco certosino, Roberto Salus, autore di libri poco ortodossi e interpretato da un Toni Servillo sempre molto a fuoco. E sarà, ovviamente, proprio la presenza di quest'ultimo a far saltare gli equilibri e a tenere in piedi l'intera questione etica su cui si basa il film.
È la prima notte della riunione, dove si dovranno prendere decisioni che forse porteranno alla bancarotta un non meglio precisato paese(ma il pensiero va subito alla Grecia), e Daniel Rochè, direttore del fondo e sorta di Deus Ex Machina dei destini economici mondiali, chiede a Salus, che lui ha voluto alla riunione dopo averne letto i libri, di raccogliere la sua confessione. Poco dopo Rochè, interpretato da Daniel Auteuil, una sorta di Flavio Insinna d'oltralpe, solo senza pacchi e bravo, viene rinvenuto cadavere, non si sa se suicida o vittima di un omicidio. Da qui Le Confessioni prende le sembianze di un giallo, allontanandosi dall'incipit che rimandava a Todo Modo, e muovendosi su una serie di flashback che si alternano al progressivo disfacimento delle certezze dei potenti, rimasti orfani del loro leader carismatico. Non sto ovviamente a raccontarvi le pieghe della trama, visto che, in fondo, di un giallo si tratta, e passo direttamente alle mie impressioni.
Tutto il piglio del film è votato a una estrema lentezza, la regia è raffinata sia nei movimenti di macchina, sia nelle scatole cinesi dei continui flashback, e nell'indagare la pochezza di questi uomini che vorrebbero reggere le sorti del mondo ma sembrano in realtà capaci solo di recitare vuote formule magiche. I rimandi al cinema di Sorrentino sono inevitabili, per lo stile, certo, ma soprattutto per la scelta dell'ambientazione che porta dritti a Youth, e per l'ingombrante presenza di Servillo, a suo agio nei panni di una sorta di Jep Gambardella in abito talare; ma, va detto, qui si vola un po' più bassi. Il colpo di scena finale, infatti, è un po' deludente, e il personaggio di Salus, un po' Papa Francesco, un po' supereroe, è, a tratti, a forte rischio macchiettistico. Quello che lascia un po' perplessi però, è più la sensazione che la complicata messa in scena che tiene in scacco per un'ora e mezza lo spettatore più smaliziato, si riveli propedeutica al nulla; ma non è forse proprio sul nulla che si basa la potenza del mercato? E forse è proprio vera la storiella che Rochè racconta al ministro canadese, sui banchieri che non hanno un cuore. Inutile quindi aspettarsi confessioni che abbiano un vero contenuto, o un vero pentimento, ma solo uno squallido tentativo di ripulirsi la coscienza.
È un cinema moralista, quello di Andò, ma forse ce n'è bisogno; lascia perplessi, ripeto, l'eccessiva semplicità del messaggio racchiuso in un'opera tanto complessa e, a tratti, pesante da seguire.
Voto: 6
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