Avvistamenti: Kula Shaker - K 2.0 (2016)



 
È difficile per me, ogni volta, recensire un album dei Kula Shaker; già, perché si entra nel campo dei ricordi e della nostalgia. Ancora ricordo quando, conquistato dal loro primo lavoro, K, del 1996, mi recai ad acquistare la musicassetta del seguito, quel Peasants, Pigs & Astronauts ingiustamente bollato come secondo album non all'altezza, e che decretò il primo scioglimento dei nostri. La verità è che i Kula Shaker, fautori di un fascinoso mix tra musica indiana, psichedelia e hard rock anni '60 e '70, e un tocco del brit pop che impazzava ai tempi, si trovarono in un meccanismo più grande di loro, che li portò, da band tutto sommato di nicchia, a vendere milioni di dischi e a creare aspettative che sarebbero andate inevitabilmente deluse. E così, dopo lo scioglimento del 1999 abbiamo dovuto aspettare ben otto anni per quello che, per me, fu un ritorno in grande stile con Strangefolk, album davvero molto valido, e il seguito meno riuscito di Pilgrim's Progress. E ora, dopo altri sei anni, il nuovo capitolo che, fin dall'ammiccante titolo, vorrebbe alludere a un ritorno alle origini.
E questo è vero solo in parte, visto che non mancano i pezzi che tornano a citare l'India(in modo magari anche superficiale, con qualche sitar sparso qua e là), dalla bella apertura di Infinite Sun a Hari Bol, ma quello che manca è la foga e l'entusiasmo degli inizi, sostituito da una maturità a tratti fin troppo placida, oltre a un singolo capace di assurgere istantaneamente allo status di instant classic.
Tuttavia questo K 2.0 è un buon disco, specie per chi è avvezzo al suono di Crispian Mills e soci, e a tutte le loro svariate influenze. Si va dall'apertura di Infinite Sun, davvero azzeccata e che forse crea aspettative eccessive per il resto del disco, a Holy Flame, che sembra preso da 13 dei Blur, e ancora alla bella melodia di Death Of Democracy; ed effettivamente questo va detto dei Kula Shaker, dopo vent'anni la capacità di trovare melodie efficaci sembra non abbandonarli. Altri pezzi forti del disco sono Here Come My Demons, bellissima cavalcata che parte come un pezzo folk melodico, per vedere poi innestarsi un riff di chitarra duro al punto giusto che traghetta la canzone verso lidi psichedelici, prima di tornare alle atmosfere folk per chiudere, forse il punto più alto del lavoro. Ottimo anche il western di High Noon, coi fantasmi di Calexico e Morricone ad aleggiare e gli accenni hard di Get Right, Get Ready.
Insomma, chi si aspettava una riedizione pedissequa delle atmosfere di K, dovrà farsene una ragione, i Kula Shaker sono cresciuti e il furore dei vent'anni è perso per sempre. Quella che rimane di alto livello e la loro capacità melodica e compositiva, arrangiamenti che stupiscono favorevolmente per la misura, oltre alla voce di Mills, caratteristica e riconoscibile come poche. E la loro dirompente capacità di stare sul palco, che fa sperare in qualche bel live quando torneranno da queste parti.

Voto : 7

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