Recensione: Dunbarrow - Dunbarrow (2016)


Ho avuto appena il tempo di riprendermi dalla parziale delusione del nuovo lavoro dei Witchcraft, che ecco capitarmi tra le mani un lavoro che sembra il clone dei primi lavori della band svedese, anzi, a tratti, questi Dunbarrow sono anche più centrati. Si tratta appunto dei Dunbarrow, band norvegese di Trondheim, città che vanta una fiorente scena hard psych fin dagli anni '70; decennio a cui, ovviamente, si rifanno i baldi ragazzi norvegesi, prendendo a modello i soliti Black Sabbath, Pentagram e, venendo più avanti nel tempo, gli immancabili Graveyard e Witchcraft.
Il lavoro si presenta molto compatto, solo la conclusiva Witches Of The Woods supera i sei minuti, proponendo astutamente brani piuttosto brevi che, lungi dall'annoiare l'ascoltatore, hanno nell'omogeneità la loro croce e delizia. Il suono è quello di un granitico proto doom con radici che affondano pienamente nei favolosi seventies, con chitarre massicce ma sempre pienamente in ambito hard e bluesy, senza pericolosi ammiccamenti metal. L'assenza di eccessivi tecnicismi musicali evita l'eccessivo appesantimento dell'ascolto, e lascia aperti ampi margini di evoluzione per il suono dei prossimi lavori. Le atmosfere sono quelle gotiche tipiche del genere, con tanto di esoterismi e streghe che popolano i boschi del profondo nord in bella evidenza. My Little Darling, Lucifer's Child e Witches Of The Woods sono i pezzi forti del menu, insieme a Guillotin, ballad che permette di tirare un po' il fiato, ma, al di là dei limiti congeniti al genere, ovvero una certa ripetitività e derivatività, uniti a un coefficiente di innovazione che è pari a zero, tutti i pezzi sono molto validi.
L'ennesimo disco che per essere goduto come merita va ascoltato con orecchi in totale modalità vintage; se cercate il futuro del rock, a patto che esista, cercatelo altrove.

Voto: 7

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