Recensione: Santana - Santana IV (2016)
Recita l'antico adagio: "Si nasce incendiari, si muore pompieri". E così per la reunion della line-up
(quasi) originale dei leggendari Santana ci troviamo di fronte a un lavoro molto in linea coi capolavori di quaranta e passa anni fa; il problema, per l'appunto, è che quella mistura di ritmiche afro-latine, elementi di psichedelia e dell'allora nascente hard rock, sensibilità pop e assoli che molto devono al jazz, al blues e alla fusion, se all'epoca furono una vera rivoluzione per il mondo del rock, qualcosa di mai sentito prima, oggi suonano come quanto di più conservatore e rassicurante si possa immaginare. Un prodotto totalmente revivalista, destinato a un pubblico di nostalgici ex capelloni, per lo più. Ma, fatta la tara di questo ragionamento, Santana IV (titolo che omaggia Santana III, del 1971), che vede in campo, oltre all'immarcescibile leader Carlos Santana, Gregg Rolie, Michael Shrieve, Michael Carabello, Karl Perazzo, Benny Rietveld e l'altro chitarrista Neal Schon, oltre alla splendida ospitata di Ronald Isley degli Isley Brothers, suona a tratti davvero bene. Merito, ovviamente, della caratura e del mestiere di questi grandi musicisti. Non tutto, però, funziona a dovere; alcuni pezzi sembrano veramente la caricatura della band del bel tempo che fu, e così ecco le evitabili Choo Choo e Come As You Are, e una Suenos che ricalca gli episodi più melodici e melensi tanto cari a Carlos. Gli episodi più felici stanno invece nella parte più psichedelica della tracklist, sicuramente troppo lunga, quali Fillmore East e la conclusiva, sontuosa, Forgiveness, nel blues che omaggia la storica Black Magic Woman di Blues Magic, nel tipico latin rock dell'iniziale Yambu e della piacevole Anywhere You Want To Go e negli episodi con Isley alla voce.
In conclusione, un lavoro da ascoltare come piacevole diversivo, sicuramente molto migliore dei duetti milionari ma assolutamente improbabili a cui Santana ci aveva abituato (male) negli ultimi anni, da non approcciare sicuramente con intenti intellettuali e con la puzza sotto al naso perché, e ovvio ma va detto, un disco così nel 2016 non ha senso se non quello di far leva sull'effetto nostalgia e sul piacere di ascoltare del latin-rock ben suonato. E non è detto che ciò sia poco.
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