The Mothercrows - Magara (2019) Recensione



Magara è il titolo del primo album dei Mothercrow, band spagnola che cerca di perpetuare la grande tradizione dell’hard rock anni ’70.


C’è un sottile filo rosso che parte dagli anni d’oro del rock e arriva fino ai giorni nostri. Gli anni sessanta furono – non solo a livello musicale – quelli dove l’emancipazione femminile iniziò a prendere davvero corpo, dando frutti ben visibili a tutti. Sotto il profilo squisitamente musicale, che qui interessa, tanti nomi sono ancora oggi veri e propri cult, come Janis Joplin, Grace Slick dei Jefferson Airplane e, più in là, Patti Smith. Le ispirazioni precedenti vanno cercate soprattutto nel blues, Big “Mama” Thornton, Koko Taylor e Etta James sopra le altre.
Lo stile – tranne in qualche caso oggi poco ricordato come Nico e Christine Perfect – è quello della donna alpha, ovvero canto urlato e perennemente sopra le righe, atteggiamento da camionista in trattoria, come se per sottolineare la forza di una donna bisognasse per forza imitare gli atteggiamenti machisti, e spesso ridicoli, di tanti duri del rock. Ma tant’è, spesso le avanguardie devono gonfiare i muscoli per farsi notare.
Quello che più stupisce è che ancora oggi questo stereotipo sia ancora cavalcato in modo frenetico da tante band di aerea hard rock e metal.
Se il fenomeno è squisitamente nord europeo – forse il miglior esempio sono i Blues Pills – anche i paesi latini cercano il loro spazio. In Italia forse l’esempio più nobile di donna del rock fu Silvana Aliotta, splendida voce dei sottovalutati Circus 2000, attivi nel momento di massimo fulgore del rock made in Italy, gli anni settanta del rock progressivo. E se oggi il fenomeno, digerito e risputato in versione mainstream, dà vita a parodie al limite del grottesco partorite per lo più dal mondo dei talent, una band doom come i Psychedelic Witchcraft della bravissima Virginia Monti sono un bell’esempio del fenomeno.
Ed ecco ora spuntare i Mothercrow, band spagnola – arrivano da Barcellona – che, forte di un’intensa attività live – è riuscita tramite crowfunding a produrre questo Magara, loro esordio.



I dischi d’esordio hanno sempre il loro fascino, le band ci tengono a dare il massimo e quello che ne esce fuori è quasi sempre un concentrato esplosivo e sopra le righe. Non fa eccezione Magara; Karen Asensio (voce), Claudia González (basso), Pep Carabante (batteria) e Max Eriksson (chitarre) sono la personificazione di tutti gli archetipi legati al genere. Karen è la vocalist perennemente invasata – sigaretta, atteggiamento strafottente da truck driver texano, sensualità da locale malfamato e voce adattissima al genere – mentre Claudia è la bassista tutta tatuaggi e anelli col teschio. I due uomini del gruppo sembrano usciti da una comune hippie della California del ’68.
Le atmosfere musicali sono rigorosamente vintage, dall’hard rock classico tra AC/DC e Led Zeppelin di Revolution e Lizard Queen, agli accenti prog – il flauto di Gauan, splendida ballata cantata in spagnolo – fino ai lentoni d’atmosfera come Forevermore e Ashes (che ricorda da vicino Medicine dei sottovalutati DeWolff). La title track Magara è più sbilanciata sul versante psichedelico e propone una bella parte di chitarra solista.
La ricetta fa venire in mente tante cose già sentite – a tratti i Graveyard o i primi Witchcraft ma meno cupi – e la formula è sbilanciata sensibilmente più verso l’hard rock di scuola americana, quello un po’ più caciarone, che non verso le più raffinate radici europee del genere. Tuttavia qualche innesto di flauto e passaggi più rallentati fanno ben sperare per il futuro.
Un bel disco per chi si appassiona ancora di voci urlate il giusto e chitarre che si infiammano sulle note pentatoniche, in attesa di una maturazione che arriverà, data la giovane età, e che permetterà forse ai Mothercrow di gonfiare meno i muscoli e di cercare la via al loro stile.
La strada pare quella buona.

Voto: 7

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