Cine-avvistamenti: Io e te di Bernardo Bertolucci
Portare sullo schermo una storia tratta da un romanzo è operazione da sempre assai pericolosa e tuttavia sempre più in voga, probabilmente per mancanza di idee originali e confortati dalla scarsa quantità di lettori. Io e te sfugge quasi del tutto ai rischi tipici di tale cimento, in virtù del talento registico indiscusso di Bertolucci e della storia pensata da Ammaniti, tanto semplice quanto universale nel trattare i dolori di un giovane d'oggi e, più in generale, quel traumatico passaggio dell'esistenza che va sotto il nome di adolescenza. Per il suo ritorno a quasi dieci anni da The Dreamers, e dopo gravi vicissitudini di salute, Bertolucci sceglie un terreno che gli è congeniale sia come tema(l'adolescenza, appunto, ma anche una sorta di fuga centripeta dalla società), che tecnicamente(il film è girato quasi completamente in un solo interno). La fedeltà alla trama, vista la presenza dello stesso Ammaniti tra gli sceneggiatori, è pressoché totale, anche se pesano un po' la scelta di rinunciare alla voce narrante del protagonista e il finale diverso, come vedremo. E la trama è quella che vede protagonista Lorenzo, quattordicenne asociale per scelta, che si mimetizza nella società per evitare problemi coi coetanei e le eccessive attenzioni dell'iperprotettiva mamma, alla quale è legato da un rapporto a dir poco edipico, al punto da decidere di fingere la partecipazione alla gita scolastica di una settimana, rifugiandosi invece nelle cantine del condominio, confortato in questa sua speciale vacanza dalle compagnie predilette: cibo in scatola, netbook, musica, libri sugli insetti, un formicaio e fumetti di Tex. La pace del suo eremitaggio viene turbata dall'arrivo di Olivia, sorellastra difficile e reietta, che non vede da anni, artista alternativa e tossicodipendente conclamata in cerca di redenzione. La storia si sviluppa sul rapporto che si viene a creare tra i due, e che vedrà Lorenzo crescere e forse aprirsi alla vita e ai rapporti sociali, e Olivia affrontare i suoi fantasmi e forse liberarsi dalla sua dipendenza. Non vi sto a svelare troppo su accadimenti e sul finale, anche se chi ha già letto il libro avrà capito che questo(purtroppo, a mio giudizio) differisce essendo leggermente più aperto alla speranza. A livello tecnico si capisce fin dalla prima inquadratura di essere davanti al lavoro di un grande regista; i protagonisti, gli esordienti Jacopo Olmo Antinori(sorta di versione adolescenziale dell'Alex di Arancia Meccanica)e Tea Falco denotano un'accuratissimo casting(niente bellocci banali, insomma), la fotografia è ottima e la regia si mantiene su ottimi standard, nonostante l'obiettiva osticità dell'ambientazione scelta, tanto che i passaggi migliori, tecnicamente, risiedono, secondo me, nelle scene in esterni, come il piano-sequenza finale con fermo immagine, chiaro omaggio a Truffaut, ma anche nell'insistenza nel cercare da tutte le angolazioni la finestra sbarrata della cantina-bunker. Una nota a parte meritano le musiche, dai Cure agli Arcade Fire, passando per David Bowie. E proprio la storica Space Oddity accompagna la scena chiave del film(nella riscoperta versione italiana, cantata dallo stesso Bowie sulle parole di Mogol, testo banale e a tratti delirante se paragonato all'originale, ma che si adatta perfettamente alla scena)e quella finale. Forse un Bertolucci minore, ma è comunque piacevole da ritrovare, come è piacevole constatare che la malattia e la lunga assenza non abbiano intaccato la sua straordinaria capacità di fare cinema.
Visto ieri sera. Non ne ho scritto per pietà.
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