Recensione: Millanta Tamanta - Wow (2016)
Un uomo, una donna, storie d'amore tormentato, citazionismo che manco Quentin Tarantino; queste le note salienti di una certa corrente dell'indie italiano andata sviluppandosi negli ultimi anni. Dai Baustelle in poi, praticamente, ma che affonda le radici in duetti più o meno maledetti, da quello per eccellenza Gainbourg/Birkin, a quelli più rassicuranti Sinatra/Hazlewood e Bono/Cher e nel pop raffinato dei nostri sixties, quello, per capirci, con i sontuosi arrangiamenti di gente come Morricone e Umiliani. Oltre ai già citati Baustelle, che fanno categoria a parte e rimangono due spanne buone sopra il gruppone, abbiamo Il Genio, i redivivi Piet Mondrian e, ultima mia scoperta ma attivi già da qualche anno, questi Wow, giunti con Millanta Tamanta al secondo lavoro.
Chiarito che il titolo nonsense si rifà a una delle Favole al telefono di Gianni Rodari, lo spettro musicale della band romana si muove essenzialmente su due registri, uno più soft e potenzialmente commerciale, con melodie raffinate ma godibili e arrangiamenti sixties a base di pennate di chitarra elettrica e la voce di China (metà femminile del duo con Leo) che la fa da padrona, citando ora Patty Pravo, ora Milva, muovendosi con grande disinvoltura specie sui registri più scuri, e una più sperimentale che unisce il passato di band punk con istanze psichedeliche, funky e, a tratti, quasi prog. Del primo filone fanno parte i pezzi più immediati, da Il Mondo a Il Caldo, fino a Arriva Arriva, scritta dall'amico e nuovo Re Mida dell'indie Calcutta, passando per Ah ah ah. Proprio quest'ultima merita un discorso a parte in quanto croce e delizia esemplificativa del disco; infatti gli Wow, pur tra qualche incertezza tecnica perdonabile, riescono a confezionare un lavoro davvero interessante, capace di non annoiare anche dopo molti ascolti, ma in cui aleggia una sensazione di incompletezza. Prendiamo proprio Ah ah ah, pezzo dalla melodia azzeccatissima, splendido arrangiamento e prestazione da applausi di China; e allora, come si fa a "sprecare" la melodia della vita in un pezzo di due minuti che lascia quasi l'amaro in bocca per come rimane quasi un bozzetto di quello che poteva essere?
Della seconda anima degli Wow fanno parte le più sperimentali Le Mie Manie, Bianche, Millanta Tamanta e Le Pointeur De Fleury, cantata interamente in francese e che a me ha ricordato alcune cose di Rover, dove i tempi e le melodie si fanno più dilatati e risalta la perizia strumentale della band, con andature incalzanti e cambi di ritmo molto interessanti.
In conclusione, ci troviamo di fronte a una band che sicuramente vanta ampi margini, ma che con questo Millanta Tamanta mette già a segno un ottimo colpo, riuscendo a imporsi in modo originale, diversificandosi dal rischio di mera copia di originali forse irraggiungibili.
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